Il piacere di lavorare bene
Il successo dell'azienda e il benessere delle persone che vi lavorano sono due fattori strettamente connessi, ma non ancora sufficientemente percepiti e valorizzati dalle imprese e dagli stessi lavoratori. Ogni azienda affronta problemi che dipendono dalla specifica posizione sul mercato ma, nel lungo periodo, la qualità del prodotto è affidata a donne e uomini che lavorano con piacere e che sanno immettere nella professione anche qualità tipiche della cura domestica e familiare (accoglienza, relazione, flessibilità nell’uso del tempo, capacità di risolvere i problemi, attenzione ai dettagli). Il progetto si propone di individuare buoni esempi di conciliazione tra lavoro e vita da mettere in luce e divulgare.
Alle donne piace lavorare bene.
Allenate, anche dalla molteplicità dei ruoli, alla responsabilità, sostenute da una dose maggiore di attenzione, fantasia e applicazione nello studio, quando lavorano sviluppano un sistema di relazioni che produce fiducia e soddisfazione. Perfezioniste, a volte eccessive, magari anche portate a sbrigare una pratica in più piuttosto che una in meno, per vedere riconosciuta la loro capacità, pretendono anche molto dagli altri. Con il loro comportamento incidono notevolmente sul clima aziendale, sulle performance, sull’efficienza e sui risultati. Ma tutto questo manca di visibilità perché mancano gli strumenti per misurarlo.
La soddisfazione che il soggetto prova nel lavoro è un indicatore molto importante della qualità del lavoro stesso, tuttavia il benessere del singolo e/o del piccolo gruppo in cui opera va correlato con risultati oggettivi. I due aspetti sono strettamente interdipendenti: il soggetto è soddisfatto quando si rispecchia positivamente in un prodotto utile, significativo, apprezzato, esteticamente ben fatto; al tempo stesso, il lavoro di qualità è sostanzialmente un frutto collettivo, che scaturisce da energie plurali che imparano a convergere, intendersi, stimarsi e riconoscersi reciprocamente.
Le donne hanno dimostrato in questi anni di trasferire nelle aziende, nei servizi pubblici, nelle professioni liberali e scientifiche e in campo applicativo, le competenze che hanno lungamente esercitato nel lavoro di cura (Battistoni L., Ruggerini M.G., 1993):
- flessibilità nell’uso del tempo per poter conciliare il lavoro con altre dimensioni della vita
- preferenza per i rapporti cooperativi e orizzontali, rispetto a quelli verticali e gerarchici
- attenzione alla persona e alle dinamiche di gruppo
- perseveranza nel raggiungimento di obiettivi e cura dei progetti a lungo termine
- attitudine al problem solving anche in presenza di evenienze non previste dalla routine
Sono proprio queste le competenze che le nuove organizzazioni cercano in misura crescente e faticano a trovare, in quanto i lavoratori (inclusi i quadri e i managers) sono stati addestrati per anni alle virtù opposte: individualismo, competizione, adeguamento alla routine, rigido impiego della programmazione e dei tempi, perseguimento del prestigio personale a discapito del risultato collettivo.
Pertanto, mettendo in luce le strategie femminili del lavoro ben fatto emergono i fattori di successo delle nuove organizzazioni. Questa ricerca di soddisfazione le donne la portano non solo nei lavori di alta qualificazione, ma anche nei lavori ritenuti più semplici, che spesso contengono nelle pieghe nascoste e informali, spazi di qualità invisibili ad uno sguardo superficiale. Per esempio, occorre riconsiderare il lavoro di cura delle donne migranti nei confronti di anziani, che solo uno sguardo superficiale può collocare nei lavori a bassa qualificazione, mentre assolve ad un insieme di compiti complessi, con alta responsabilità. Servono strumenti di analisi raffinati, parimenti sensibili alla soggettività e al contesto lavorativo.
Equilibrio vita e lavoro
A rendere appetibile la possibilità di lavorare in un’azienda non contribuiscono più soltanto soldi e ricompense tangibili: per attrarre e mantenere donne e uomini nelle organizzazioni è indispensabile contare su un insieme di fattori che contribuiscano a motivare e coinvolgere.
Nella quantificazione delle proprie energie le donne calcolano il tempo dedicato al lavoro come tempo di vita e per questo non sono disposte a sciuparlo, affogarlo nei tempi morti, mortificarlo nella privazione di umanità e calore. La dimensione sociale della donna, che non rinuncia ad avere un ruolo attivo nella organizzazione delle reti familiari e amicali, aggiunge un grado in più di sensibilità sul fronte professionale. Oggi, la possibilità di conciliare vita professionale e vita personale è riconosciuta da tutti come fattore chiave per la stabilità organizzativa, al punto che la legislazione di molti paesi europei sta offrendo nuovi strumenti di conciliazione tra le due sfere, soprattutto per le coppie in cui entrambi i coniugi lavorano e quelle che puntano a crescere un secondo o terzo figlio. Un ruolo significativo è stato svolto dalla rete europea Family and work. La gestione del tempo a cui sono tanto sensibili le donne ha prodotto in Italia la Legge 8 marzo 2000, n.53 la cui applicazione richiederà nei prossimi anni un grande lavoro culturale diffuso e capillare.
Il progetto Lavoro Doc si inserisce in questo filone europeo e vuole portare un contributo concreto, divulgando tanto le strategie soggettive quanto le strategie aziendali che vanno nel senso di facilitare la conciliazione tra vita e lavoro.
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